26 Gennaio 2024By

Autore: Terry Pratchett |
Voto 5 su 5
Da dove iniziare?
Non è che abbia molto da dire. E non ho niente da dire che non sia già stato detto e detto in modo più interessante.
Però Donna Lebowski mi ha chiesto di scrivere qualcosa su questo libro e quindi, io, con piacere, le scrivo qualcosa su questo libro.
Questo libro è Il colore della magia di Terry Pratchett.
Io, di Terry Pratchett, fino a ora, avevo letto solo mezzo libro. Non che avessi abbandonato la lettura a metà, ne tanto meno avevo letto solo il finale perché mi mancavano le prime pagine. Fino a ora, l’unico libro firmato da Terry Pratchett che avessi letto, era Good omens, un libro co-firmato da Neil Gaiman.
Ecco, di Gaiman ne potrei scrivere tranquillamente, lo leggo da un bel po’. Nella mia esperienza da lettore c’è un prima e un dopo Gaiman. American gods, il suo romanzo, è un libro che ho letto più di dieci volte, l’ultima pochi mesi fa. Dico questo per dire che nel leggere Il colore della magia c’ho trovato tanto Gaiman, l’ho riconosciuto.
Ho avuto l’impressione che Pratchett sia stato un apripista. Tutta quella costruzione cosmologica, la creazione di un un panteon pulsante, una visione al contempo interessata e distaccata alla fede.
Però non c’ho trovato solo quello.
Pratchett gioca con il concetto alla base delle parole e con la mancanza di parole che descrivono un concetto. Gioca con la lingua come riflesso di una società. Questi sono concetti che avevo trovato nella folle scrittura di Douglas Adams. Il gioco di Pratchett, però, viene impiantato in una struttura fantasy, solida, nonostante sia parodistica - un parodia che ricorda i Monty Python, e se si parla di fantasy inglese subito ripenso all’opera immensa di Michael Moorcock. Ripenso alla saga della spada magica di Stormbringer (anche Il colore della magia presenta una spada magica, ovviamente) e a come il fantasy venga incastrato da Moorcock in una sovrastruttura fantascientifica di realtà parallele, cosa che si legge anche nel libro di Pratchett.
Perché dico tutto ciò?
Lo dico perché non so molto di Terry Pratchett visto che ho letto un libro e mezzo e quindi imbroglio scrivendo di altro? In parte si.
Ma lo dico anche perché mi ha dato sempre più l’impressione che gli autori inglesi, soprattutto gli autori inglesi di genere, sembrano fare parte di un club dove, tra una tazza di tè e un bicchiere di scotch, si influenzano a vicenda. Sembrano vivere in un una realtà letterale comune da cui spontaneamente attingono e che in seguito, con le loro opere, a loro volta alimentano.
Il valore del singolo autore sta nel fatto che mantiene la propria identità. È sempre riconoscibile.
Ne Il colore della magia Terry Pratchett non si fa trascinare dal genere fantasy, la sua scrittura non viene soffocata dalla parodia, la trama non viene distratta dalle trovate intellettuali che vi inserisce.
Leggendo Il colore della magia si sente la voce di Terry Pratchett e la si riconosce chiara tra tutte le altre.




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