18 Luglio 2023By

Autore: Alan Moore |
Casa Editrice: Rizzoli Lizard (trad. di Massimo Gardella) |
Voto 5 su 5
"Le pagine seguono un ordine solo quando si sfogliano di seguito. Quando il libro è chiuso, tutte le pagine sono sempre insieme e non vanno né avanti né indietro. Sono lì e basta."

Jerusalem è il secondo romanzo di Alan Moore. Nel suo primo romanzo, La voce del fuoco, Alan Moore, si era concentrato nel raccontare la sua città natale, Northampton. In un’intervista riguardante Jerusalem, Alan Moore, ha affermato che, in quel primo libro,  essersi concentrato sull’intera città, fosse stato troppo dispersivo. Per questo, per il suo romanzo successivo, si è voluto concentrare su un’unico quartiere di quella città. Jerusalem parla di questo quartiere, chiamato Boroughs, il quartiere più antico della città di Northampton. E qui mi potrei fermare.

La prima cosa che salta all’occhio è la mole. Jerusalem è un libro di millecinquecento e rotte pagine. Ogni pagina è essenziale perché è un libro in cui forma e sostanza coincidono. 
La prendo un po’ alla larga.
Alan Moore ha lasciato una traccia indelebile nella cultura di massa con i fumetti che ha scritto. Prendendo i titoli che, forse, lo caratterizzano di più, V for vendetta, Watchmen e From hell, si può trovare un filo conduttore a livello formale. C’è sempre uno studio del passato per raccontare il presente. Con V for vendetta è andato a riprendere tematiche Orwelliane per raccontare il periodo Tatcheriano. In Watchmen ha ripreso supereroi anni ’50 per mostrare la cultura influenzata dalla presidenza reganiana. In From hell ha preso il serial killer per antonomasia, Jack lo squartatore, per dissezionare la cultura del ventesimo secolo.  Il passato, e tutte le sue componenti, danno senso, o danno parte del senso, al momento presente. 
Un’altra cosa. Anni fa mi ritrovai a pensare al fatto che un autore è facilmente identificabile in uno dei personaggi delle sue opere. Con Alan Moore mi sembra che questo giochino intellettuale non funzioni a pieno. Però, anche se non lo riesco a identificare con un singolo personaggio, mi pare che lo si possa identificare con la struttura dell’opera. Questa struttura in V for vendetta è come uno spartito musicale che da ritmo all’azione. In Watchmen come la gabbia della tavola a fumetti che scandisce il tempo. In From hell la mappa del territorio che diventa immagine di un’idea nella storia.
In Jerusalem la storia è un libro di più di millecinquecento pagine.
La forma contiene spazio e tempo.

Fin dall’inizio ho pensato che Jerusalem fosse la summa della scrittura di Moore. Elencando quelle tre opere precedenti mi son dato conferma. Le tematiche le si ritrova e vengono ampliate in Jerusalem. Alan Moore ci ha sempre parlato di come spazio e tempo siano elementi indissolubili nella caratterizzazione di un territorio.

Ma la trama? Qual è la trama di Jerusalem?
Quando parlo di un’opera il più delle volte non mi soffermo sulla trama. Questo per assurdo mi porta a non dare troppo peso a eventuali spoiler. Con Jerusalem questo vale ancora di più. La trama c’è ma va ricostruita attivamente, passo passo, dal fruitore dell’opera.
È un romanzo che si compone di tre libri contenuti tra un prologo e un postludio che ne fanno da cornice. 
Il primo libro si intitola Boroughs come il quartiere di cui si parla. In questa prima parte in ogni capitolo c’è il racconto di uno degli abitanti del quartiere. L’andamento non è cronologico e l’effetto è inizialmente straniante. Più si procede con la lettura, più ci si accorge della rete che riunisce tutta la fauna sociale che abita le strade di Boroughs. Ci si ritrova a ricostruire la storia del quartiere e la storia di una famiglia, i Vernal. Questo primo libro culmina con un bambino che soffoca con una caramella e si collegherà al secondo libro, Mansoul.
Mansoul racconta l’esperienza oltre la morte di quel bambino. Il racconto si fa lineare. È un’avventura dai tratti dikensiani. Una banda di monelli fantasma con la missione di far tornare in vita il bambino. Tra demoni, giganteschi arcangeli che si prendono a cazzotti, viaggi nel tempo e tanto altro ancora, Moore riesce a illustrare teorie scientifiche sullo spazio-tempo e a filosofeggiare sul determinismo. Tutto questo per permettere la salvezza del bambino che porterà alla terza parte, L’inchiesta dei Vernall.
Con il terzo libro la scrittura si fa ancor più caleidoscopica. Ogni capitolo presenta una forma diversa: dal flusso di coscienza derivativo di Joyce al testo teatrale che omaggia Beckett. Tutto questo non è sterile citazionismo. Ogni forma letteraria è cristallizzazione di una visione della realtà, o irrealtà, unica e riconoscibile. La forma è funzionale al contenuto. Ogni luogo, ogni personaggio, è collegato a quel momento in cui la trama culmina.

Fino a ora ho evitato di dire una cosa. Sto facendo molta fatica a scrivere di questo libro. A parlarne, nessun problema, chi mi conosce lo sa bene, ma a scriverne? Non ce la faccio proprio.
Quindi riporto la prima cosa che mi viene in mente e poi la chiudo.
È un aspetto che ho notata alla fine della seconda lettura di Jerusalem ed è legato direttamente al suo autore. Per lo meno all’idea che me ne sono fatto.
Alan Moore si prende la responsabilità di quel che fa. L’ha fatto si dall’inizio della sua carriera quando ha deciso di dedicarsi alla carriera di fumettista nonostante i pochi mezzi di sussistenza e una figlia in arrivo. L’ha fatto in ambito supereroistico quando, dato che un mercato cannibale ha estetizzato solo il lato più superficiale di Watchmen, scambiando la violenza per maturità, e lui, in controtendenza, si è dedicato a opere più solari e positive.
L’ha fatto anche con Jerusalem, forse, come risposta al suo primo romanzo. Ne La voce del fuoco Alan Moore si abbandonava alla descrizione fin troppo onesta di una realtà cupa e spietata. Jerusalem, non rinuncia al racconto di questa stessa realtà, anzi, per certi versi, affonda ancor di più nella critica sociale, nella denuncia di una politica storicisticamente ingiusta, in un razzismo perpetuo. Ci mostra tutto questo ma non si ferma a uno sterile compiacimento. Jerusalem è la sua azione per combattere tutto ciò. Jerusalem non è un libro ottimista ma è un libro attivamente positivo. L’arte è la soluzione, la cultura è la via.
Si dice sia stato un Idiota ad aver detto che il Mondo lo salverà la bellezza. Jerusalem è quell’atto di bellezza che Alan Moore ha plasmato in un tempo eternamente presente.

"Prima o poi, tutte le persone e i luoghi che amiamo cesseranno di esistere, e l’unico modo per preservarli è l’arte. È la sua funzione, recuperare ogni cosa nel tempo."

"Spero che stia bene. Spero che stiano tutti bene."

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