Non è un film. È un esperimento sociale per capire quanti neuroni ti restano vivi dopo 77 minuti di dialoghi tecnici, salti temporali e facce da “non sto capendo nemmeno io cosa ho appena detto”! Eppure… funziona. Maledettamente bene.
Shane Carruth, con un budget che probabilmente non copriva nemmeno il catering di Tenet (7000$) e 5 attori, tira fuori un labirinto mentale che non ti prende per mano, non ti spiega nulla, e ti lascia lì: come un criceto in un acceleratore di particelle. Non c’è musica epica, non ci sono effetti speciali, non c’è nemmeno un personaggio che ti faccia dire “ok, lui è il buono”. Solo due ingegneri, una scatola, e un mucchio di paradossi che ti fanno rivalutare il concetto di “causa-effetto”.
Se cerchi il classico film di fantascienza con viaggi nel tempo, inseguimenti e gente che urla “non toccare il passato!”, Primer ti farà venire voglia di tornare indietro nel tempo per non averlo iniziato. Ma se ti piace il genere prima che "fosse di moda", se ami i film che non ti spiegano nulla perché sanno che tu puoi capirlo, puoi provare a parafrasarlo, allora Primer è una piccola gemma. Una gemma ruvida, criptica, e probabilmente impossibile da decifrare al primo colpo. Ma è proprio lì il bello.
Non è un film per tutti. È un film per chi ama perdersi e, soprattutto, non ha paura di non ritrovarsi.