06 Agosto 2024
Forse devo avvisare che farò molti spoiler. Se ne sei disturbato e non hai visto il film credo non dovresti leggere quello che segue.
In The dead don’t die, vagando nel bosco, Eremita Bob, trova dei funghi, "voi non dovreste essere qui" dice.
In Only lovers left alive, mentre il vampiro Adam si lamenta del sistema elettrico degli esseri umani chiamandoli "zombie", la sua amante, Eva, trova dei funghi Amanita Muscaria, "che strano...non è la loro stagione."
Nello stesso film, mentre attraversano Detroit con un auto alimentata da un motore che usa la tecnologia di Tesla, Adam, indica "Lì. È la casa di Jack White."
In Coffee and cigarettes, Jack White, che interpreta se stesso, mostra a Meg la sua bobina di Tesla e spiega come lo scienziato sia stato messo da parte dalla storia perché il suo spirito scientifico non era in linea con lo spirito consumistico della società.
E avanti così.
Sono tutti film diretti da Jim Jarmusch. Mi sembra che ci siano tutti questi pezzetti che si vanno a incastrare l’uno nell’altro per portare avanti un discorso comune.
Ma parliamo di The dead don’t die. I morti non muoiono.
Attualmente è l’ultimo film di Jim Jarmusch, uscito nelle sale cinematografiche nel 2019.
Come in altre occasioni, Jarmusch, prende il genere, in questo caso l’horror, nello specifico il film di zombie, e lo utilizza come contesto per raccontare la sua storia. Una storia in cui sono sempre i personaggi a risaltare. D’altra parte, afferma lui stesso, "una storia parte dai personaggi"*
Tra gli attori protagonisti troviamo Bill Murray (alla quarta esperienza con il regista, se non ricordo male), Tilda Swinton (anche lei alla quarta), Adam Driver (alla seconda consecutiva), Chloe Savigny, Steve Buscemi, Danny Glober e altre facce note che popolano il film.
Il mondo sta collassando. I poli si sono invertiti. La luce solare non risponde più a quelle che dovrebbero essere le leggi di natura, i giorni non tramontano mai per poi diventare notte di colpo. Gli animali fuggono abbandonando gli esseri umani. In tutto questo i media assillano con immagini violente e le compagnie elettriche minimizzano i danni che si stanno abbattendo in tutto il mondo.
Nella città di Centerville, un posto davvero carino, la popolazione vive la sua placida vita quando gli zombie iniziano a invadere la città. Questa storia finisce male.
La critica sociale è delle più classiche. Jarmusch parte da Romero per affermare che gli zombie, i non morti, siamo tutti noi. Siamo tutti presi dalle cose che vogliamo possedere. Gli zombie, appena usciti dalle loro tombe, oltre a divorare e infettare gli abitanti di Centerville, ricercano quello che volevano in vita: chi vuole il wi-fi, chi lo Xanax, chi il caffè (esilarante lo zombie di Iggy Pop che arranca chiedendo caffè a ricordare la sua parte in Coffee and cigarettes!)
Detto così nulla di nuovo se non che ci viene ricordato che il mondo sta già finendo ma tutti (o meglio, quasi tutti) sembrano non accorgersene. Come nel film siamo completamente insensibili alla situazione esterna, (non) viviamo le nostre vite come pupazzi di carne morta all’interno del nostro piccolo teatrino appagati dalle cose che possediamo e che ci rendono zombie possedendoci. Questa storia finisce male ma c’è chi riesce a salvarsi. Sono Eremita Bob (interpretato da Tom Waits), un vagabondo che vive nei boschi e che dai boschi osserverà tutta la tragedia e tre ragazzini chiusi in un riformatorio dal quale riusciranno a fuggire sparendo dalla storia. Sono i reietti, chi non è completamente integrato nella società e quindi non ne è stato divorato, che potrà farcela. Tutti gli altri sono troppo inglobati dalla situazione, dal proprio ruolo, per poterne veramente uscire. Mentre i ragazzini si salvano perché schivano gli zombie osservando le tracce lasciate dagli altri personaggi, gli agenti di polizia interpretati da Bill Murray e Adam Driver si scagliano contro gli zombie fino a che non ne sono completamente avvolti e divorati.
Mi sembra ci sia un altro livello di lettura per questo film. Lo zombie è il cinema stesso.
Nel film si vedono alla TV servizi del telegiornale disturbati da interferenze radio. Nei titoli di testa del film vediamo le stesse interferenze. È come se tutto il film fosse la cronaca del mondo in cui stiamo vivendo.
Non è che noi stessi, noi spettatori, siamo i non morti e che il cinema è la cosa che vogliamo?
Credo ci sia anche una bella dose di autocritica da parte di Jarmusch. Un’autocritica ironica e divertita.
Gli elementi metatestuali della trama, ad esempio l’agente Peterson che sa che la storia finirà male perché ha letto il copione mentre l’agente Robertson si lamenta perché ha potuto leggere solo le sue battute, ci sono, ma non sono fini a se stessi. Il film riflette su se stesso. Denuncia il fatto che gli attori scavalcano i personaggi. Robertson è Bill Murray tant’è che gli viene fatto notare che sta improvvisando, cosa abituale per l’attore. Vediamo sullo schermo Bill Murray e ci aspettiamo Bill Murray più che il suo personaggio. Peterson, interpretato da Adam Driver, non può non ricordarci che il personaggio che aveva interpretato lo stesso Driver nel precedente film di Jarmusch si chiamava Paterson. Come non si può non notare che ha un portachiavi a forma di astronave di Star Wars.
E Tilda Swinton, che interpreta Zelda Winston (un nome che sembra non voglia manco cercare di nascondere l’identità dell’interprete), ha un ruolo che sembra rispecchiarne le capacità attoriali, sembra poter fare tutto e come un alieno abbandona la terra. Giusto, dimenticavo! Lei è il quinto personaggio che si salva! Ma Tilda Swinton è talmente magnifica che può fare tutto!
Penso che The dead don’t die abbia la consapevolezza di essere parte di questo mondo di non morti. Critica il mercato cinematografico e si prende le proprie responsabilità.
The dead don’t die è un film che merita di essere visto. È un film di genere che parte dall’horror per arrivare alla commedia. Una commedia tragica disperatamente reale.
*L’occhio del regista, a cura di Laurent Tirard; Minimum Fax
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